San Terenzio Martire – Patrono dell’Arcidiocesi di Pesaro

Il Patrono più importante della Diocesi è S. Terenzio per il quale la Chiesa pesarese ha avuto sempre una devozione speciale, però la sua figura è stata, lungo i secoli, un po’ contrastata, perché alcuni lo consideravano Vescovo e Martire, mentre altri, seguendo la Passio, lo riconoscevano soldato martire non vescovo. Noi, innanzi tutto, ci chiediamo se S. Terenzio sia veramente esistito, perché purtroppo la sua vita è stata offuscata da leggende e da una Passio composta nel secolo XIII-XIV che non possiamo accettare totalmente, perché troppo fantasiosa e senza alcun fondamento storico. Gli studi recenti ci portano a riconoscerlo come Vescovo e Martire come vuole la tradizione più antica. Pesaro aveva, infatti, una comunità di cristiani sorta fin dal primo secolo, cioè da quando il Papa S. Evaristo, intorno all’anno 100, vi inviò un primo Vescovo. La comunità cristiana pesarese poi è andata crescendo e già nel terzo secolo era abbastanza fiorente. E’ molto probabile che allora fosse suo pastore un “Terenzio”, dal momento che a Pesaro fin da allora esisteva la gens Terentia. Si può accettare anche, come vuole la tradizione, che questo Vescovo sia stato martirizzato al tempo dell’imperatore Decio (249-251), il quale aveva ordinato di condannare a morte solo i capi, convinto che poi i seguaci, intimoriti dalla morte del pastore, avrebbero rinunciato spontaneamente alla fede. Potrebbe essere stato il primo martire di Pesaro in quella persecuzione proprio S. Terenzio che già, raggiunta una certa età, da anni era alla guida della comunità. (Le perizie mediche redatte in occasione delle ricognizioni del suo corpo, sono concordi nel dire che le ossa sono di una persona di età superiore ai sessanta anni). L’ipotesi che S. Terenzio sia stato vescovo e martire di Pesaro non è né ardita, né nuova. L’Olivieri l’ha dimostrata con chiare argomentazioni, accettate dagli studiosi e storici Giambattista Passeri e Domenico Bonamini, mentre l’hanno contrastata Teo lo Betti, Salvatore Ortolani e il canonico Stramigioli.

San Terenzio Martire (? – 251)

Noi, intanto, ribadiamo che, per la venerazione che gli è stata sempre attribuita, egli fu il cardine di questa chiesa e, sia che fosse martirizzato o no, il suo corpo fu certamente custodito dai fedeli e dai vescovi che gli sono succeduti. Se il Vescovo Eracliano (321-359) ha curato la cripta dell’attuale basilica di S. Decenzio e ha fatto custodire in essa il corpo di S. Terenzio, noi possiamo ammettere che egli sapesse per certo che S. Terenzio era stato o martire o vescovo o l’una e l’altra cosa e possiamo ammettere che il corpo di S. Terenzio sia stato portato, dopo l’editto di libertà (313), nella cripta di S. Decenzio dopo aver reso agibile il martiryon dei Santi Decenzio e Germano, martirizzati nel 312. La cella fu poi ingrandita e ristrutturata dal vescovo Germano o Germino tra il 496 e il 523 con un vero edificio sacro, che fu detto pieve o basilica, luogo di preghiera per tutto il po- polo urbano ed extraurbano. Esso fu sede della cattedra episcopale, come vogliono il Passeri e il Lanzoni, oltre all’esperto Francesco Vittorio Lombardi. Una buona garanzia di quanto detto ci viene dai vescovi Eracliano e dai suoi successori, tra cui Germano che fu vescovo 150 anni dopo (496-523 ?), i quali non ebbero dubbi sulla esistenza di S. Terenzio. Tuttavia i documenti validi che confermano la nostra tesi sono: a) la tradizione ha la sua importanza: nessun vescovo avrebbe potuto accettare di far venerare un corpo qualsiasi sotto il nome di Terenzio. b) l’iscrizione fatta mettere su un capitello della cripta di S. Decenzio (IV secolo) in cui è stata rinvenuta l’epigrafe O.S.T.E, interpreta- ta dall’Olivieri Ossa Sancti Terentii Episcopi, c) la basilica all’interno delle mura con il litostroto inferiore del IV secolo in cui fu conservato il Corpo di S. Terenzio, e d) soprattutto l’affresco di S. Decenzio: nel 1752 il nostro storico più accreditato Annibale Olivieri e l’amico Gian Battista Passeri fecero un sopralluogo alla cripta e vi scoprirono l’affresco che ben esaminarono, e il pittore e architetto Gian Andrea Lazzarini (1710-1801) lo ricopiò fedelmente. Questo fu il documento rivelatore della identità di S. Terenzio Vescovo e Martire. Esso riproduce cinque personaggi, indicati, eccetto l’imperatore, con il titolo di “sanctus”; hanno il capo circondato da aureola, portano al collo un amitto e indossano un camice bianco, simboli dell’appartenenza al clero: il primo a sinistra, già quasi completamente perduto prima della scoperta, rappresenta S. Eracliano; il secondo è S. Germano, porta la dalmatica e il turibolo, simboli diaconali; il terzo, S. Decenzio, è al centro perché è il titolare della chiesa ed è rivestito della casula o pianeta su cui è applicato il clavo (striscia di stoffa rossa) proprio dell’abito episcopale; il quarto è S. Terenzio, avente lo stesso abbiglia- mento, perché riconosciuto vescovo; tutti hanno la tonsura, simbolo di persone appartenenti al clero; il quinto è l’imperatore Costantino Pogonato (= il barbuto) che ha ugualmente l’aureola, ma non la tonsura. Quest’ultima figura ci dice che l’affresco è stato e effettuato tra gli anni 668 e 685 e se questo quinto personaggio fosse Costante, l’affresco si potrebbe datare tra il 661 e il 668. Mons. Wilpert, sommo perito di arte catacombale e di affreschi, lo classificò tra il VI e il VII secolo. Secondo i nostri periti, esso è dimostrazione dell’autenticità storica dei Santi Terenzio, Decenzio e Germano. Il Lazzarini, pittore, ne fece una riproduzione fedele, di cui un esemplare è visibile sopra la porta all’inter- no del Duomo (l’originale, nel 1965, fu di lì strappato e portato ai Musei Civici). Annibale Olivieri ci o re un’altra prova della autenticità episcopale di S. Terenzio: nel suo trattato “Di San Terenzio Martire …”, pubblicato nel 1776, dimostra chiaramente che egli fu Vescovo e Martire, riuscendo a convincere della sua tesi le autorità ecclesiastiche, primo fra tutti il Vescovo di Pesaro Gennaro De Simone (1775-79). Lo studioso, avendo esaminato i sigilli dei vescovi pesaresi dei secoli XIII e XIV, quelli di Uguccione (1257-1267), Fra’ Francesco (1276-1283), Accursio (1283-1291), Pietro V (1317-1343) dai quali risultava sempre l’immagine di S. Terenzio Vescovo con mitra e pastorale, notava che il sigillo del vescovo Pietro V era diviso in 4 parti: la Vergine in alto, due immagini di S. Terenzio (soldato e vescovo) e, in basso, il vescovo in oggetto e giungeva ad asserire che la tradizione più antica considerava S. Terenzio Vescovo e Martire. Dal 1400 in poi, sulla base della Passio, si è cominciato a rappresentarlo quasi sempre solo come giovane guerriero, non vescovo, come dal ritratto di S. Terenzio in abito ungaresco dipinto dal pittore Bellinzoni. Così lo vedeva e lo voleva il canonico Stramigioli che in una sua pubblicazione fece una apologia di S. Terenzio Martire. Nonostante la Chiesa pesarese sostenesse, dalla ne del ‘700 in poi, la tesi dell’Olivieri, i pittori continuarono a rappresentarlo come soldato e giovane Martire. Oggi, però, si dà maggior credibilità ad un Santo Terenzio Vescovo. Fu Mons. Luigi Carlo Borromeo, Presule dal 1953 al 1975, a dare una svolta nel 1964 alla iconografia diocesana sul Santo Patrono, facendo sostituire all’artista Alessandro Gallucci (1897-1980) nella vetrata dell’abside del Duomo, l’immagine di Terenzio, giovane soldato, con quella di Vescovo come raffigurato nell’affresco della chiesa di S. Decenzio. La venerazione dei pesaresi per S. Terenzio è stata sempre calorosa, perché a lui si attribuivano interventi miracolosi che si addicevano più ad un soldato che ad un vescovo. Per questo veniva raffigurato come un giovane soldato con la bandiera in mano pronto a difendere le mura e ad incitare i cittadini a lottare per la difesa della città.