OMELIA DI S.E. MONS. PIERO COCCIA nella Solennità di Maria SS. Madre di Dio

54ª Giornata Mondiale della Pace

Pesaro, Basilica Cattedrale, 1° gennaio 2021

 

  1.   Saluto tutti voi, cari fratelli e sorelle nella fede e un saluto particolare rivolgo a tutti coloro che da casa stanno seguendo questa nostra celebrazione attraverso l’emittente locale di Rossini TV, che ringrazio per il servizio offerto in questo tempo così particolare.

Oggi, 1° gennaio, si celebra la solennità di Maria Santissima Madre di Dio, ma nel contempo si celebra anche la 54ª Giornata Mondiale della Pace.

C’è un felice collegamento tra la celebrazione liturgica e la Giornata della Pace: la liturgia infatti ci ha ricordato che la pace va sempre invocata, si è realizzata nella persona di Gesù e che essa va raccontata.

         Abbiamo ascoltato il passo dei Numeri (Nm 6, 22-27) riguardante la formula della benedizione del popolo d’Israele che il Signore attraverso Mosè, conferisce ad Aronne e che così si esprime: “Il Signore ti benedica e faccia risplendere su di te la luce del suo volto, ti custodisca e ti doni la pace”

Dunque il dono della pace viene invocato come benedizione.

          Nella lettera ai Galati inoltre (Gal 4, 4-7) San Paolo ricorda a questa comunità che, giunta la pienezza dei tempi, “Dio ha mandato suo Figlio Gesù per riscattare quelli che erano sotto la Legge, affinché tutti potessimo avere l’adozione a figli”. Noi, cioè, siamo adottati come figli di Dio e quindi siamo compartecipi del Cristo, il Principe della pace. 

L’esperienza della pace quindi ci compete, ci deriva da questo rapporto di figliolanza con il Signore.

         Ma la pace realizzata in Cristo e a noi donata ci viene anche raccontata. Abbiamo ascoltato il testo di San Luca (Lc 2, 16-21), il quale ricorda che i pastori, dopo essere andati a Betlemme e aver visto Maria, Giuseppe e il Bambino, tornano e raccontano quanto hanno visto. Ma che cosa hanno visto di così particolare? Hanno colto in quella nascita la presenza del Signore, di colui che è la pace e dona la pace. 

La pace dunque è al centro della liturgia che stiamo celebrando.

  1. Cari fedeli, come tutti voi sapete, ogni anno in occasione del 1° gennaio, Giornata Mondiale della Pace, il Santo Padre invia a tutta la comunità cristiana un messaggio. Messaggio che quest’anno ha un titolo significativo e impegnativo: “La cultura della cura come percorso di pace”. In altre parole il Papa vuole dirci che la pace per essere raggiunta chiede la realizzazione della cultura della cura.

        Il messaggio fa inizialmente una panoramica della situazione mondiale, sottolineando come la pace non sia affatto una realtà acquisita, ma sia un bene ancora molto precario e a volte del tutto assente. Soprattutto in questo tempo di pandemia, tutti aspiriamo alla pace con noi stessi, con il Signore e con gli altri ma non sempre riusciamo ad individuare la strada per raggiungerla. 

         Il Papa articola poi il suo messaggio in alcuni punti semplici, ma molto incisivi.

         Innanzitutto ci ricorda che l’esperienza della pace relazionata alla cura, ha un preciso fondamento biblico: già subito dopo avere plasmato Adamo, Dio gli affida la cura della creazione; anche con l’istituzione dell’anno sabbatico il popolo ebraico mirava a prendersi cura del prossimo, soprattutto dei più fragili; e tutta la tradizione profetica, in particolare con Amos ed Isaia, reclama la la cura delle persone più povere e vulnerabili come fonte generativa di giustizia e di pace.

         A questa esperienza biblica il Papa aggiunge l’esperienza di Cristo, vertice della cura dei malati nel corpo e nello spirito, il quale, con l’offerta di sé sulla croce, ci ha liberato dalla morte e ci ha donato la vera pace: forma suprema di cura nei confronti dell’umanità.

         E così la Chiesa, nata da Cristo, fin dalle sue origini con la comunione dei beni, ha avuto cura del prossimo e ha generato esperienze di pace: ha creato strutture di aiuto come ospedali, orfanatrofi, brefotrofi, ospizi, monti di pietà ed altro, ispirando con le opere di misericordia la società del tempo.

         Questa cura però – dice il Papa compiendo un altro passaggio – deve diventare cultura, deve ispirare il modo di ragionare, di giudicare, di scegliere e di operare. 

Questa cultura trova i suoi capisaldi nella dottrina sociale della Chiesa.

Il primo caposaldo è la dignità di ogni persona, valore inscalfibile. La cultura della cura implica il rispetto e la difesa concreta e fattiva della dignità della persona in ogni situazione che ci è data da vivere.

Un secondo caposaldo è il bene comune. Giovanni Paolo II, nell’enciclica “Sollicitudo Rei Socialis”, definisce il bene comune come il bene di tutti (tutti possono e devono aspirarci) e di ciascuno (ognuno deve essere messo in condizione di ricevere questo bene). Esso si edifica con il contributo di tutti; tutti siamo coinvolti in questa avventura realizzativa del bene comune.

La solidarietà è un altro cardine fondamentale per costruire la cultura della cura. La dottrina sociale della Chiesa la definisce come “determinazione ferma e perseverante di impegnarsi per il bene comune”. Quindi la solidarietà è strettamente connessa al bene comune, è la condizione per cui il bene comune può prendere forma. 

Infine la cultura della cura implica anche la cura del creato. Oggi la sensibilità generale verso la salvaguardia del creato è notevolmente aumentata., ma il nostro impegno in questo campo non è ancora sufficiente, ha bisogno di ulteriore sviluppo e compete a ciascuno di noi.

Dunque la cultura della cura, documentata chiaramente da tutto il percorso biblico, dall’esperienza del Cristo e da quella della chiesa, trova nella dottrina sociale della Chiesa i suoi punti di riferimento. 

         Ma chi sono i soggetti che hanno la responsabilità maggiore nel realizzare questa cultura della cura?

Anche a questo proposito il pensiero del Papa è estremamente chiaro.

Prima di tutto la famiglia: è nella famiglia che noi ci prendiamo cura degli altri ed è la stessa famiglia che si prende cura di ciascuno di noi; dentro le relazioni familiari, nel rispetto reciproco che dimostriamo, noi diventiamo costruttori di questa cultura della cura. Sappiamo che oggi la famiglia – intesa nel suo dato naturale, come rapporto stabile tra un uomo e una donna aperto alla vita – è in crisi, fraintesa e sgretolata, con la conseguenza di uno sgretolamento anche della società. Per questo dobbiamo ancor di più difenderla, valorizzarla e sottolinearne il valore insostituibile, perché la prima forma di cura sociale si realizza nella famiglia.

Altro soggetto della cultura della cura è la scuola, che non può limitarsi ad informare, ma deve soprattutto formare le coscienze; tutti ricordiamo quanto l’esperienza scolastica ci abbia segnato e plasmato, non tanto come esperienza conoscitiva ma formativa nel senso più profondo del termine.

C’è poi il mondo delle Comunicazioni Sociali che, svolgendo nella società attuale un ruolo sempre più invasivo e pervasivo, può giocare a nostro favore o a nostro sfavore. Il Papa ne è consapevole e quindi lancia un vigoroso appello a questo mondo affinché eserciti il suo potere per veicolare un sistema di valori fondato sui principi della dignità di ogni persona, del bene comune, della solidarietà, della salvaguardia del creato. Cari fedeli, anche in questo campo c’è molto da lavorare, perché noi non siamo solo fruitori del mondo delle comunicazioni, ne siamo e dobbiamo essere anche soggetti attivi e partecipativi.

Infine il Papa non dimentica un soggetto essenziale per costruire la cultura della cura: il mondo dell’esperienza religiosa con i leader delle varie religioni. Anche nel rapporto tra le religioni oggi si sono fatti dei passi in avanti, ma siamo ancora lontani dal superare rivalità e divisioni in nome di una cultura della cura che persegua unità di intenti. Ognuno di noi può fare la sua parte, perché relazionarsi con persone di diverse religioni significa costruire la pace. Tutti dobbiamo instaurare un dialogo nella verità.

         Cari fedeli, abbiamo un compito immane di fronte a noi: per costruire la pace dobbiamo costruire una cultura della cura, che abbia al suo centro la persona. 

Tutti dobbiamo sentirci responsabili. Tutti infatti viviamo l’esperienza della famiglia e della scuola (direttamente o indirettamente); tutti usufruiamo e nel contempo siamo compartecipi del mondo delle comunicazioni sociali; tutti abbiamo a che fare con persone di fedi diverse dalla nostra. 

Ognuno di noi è chiamato ad essere costruttore di un futuro prendendosi cura del prossimo, come anche ci ha ricordato ieri sera il capo dello Stato nel suo messaggio alla nazione.

Preghiamo il Signore e lasciamoci condurre dal messaggio di papa Francesco che guarda al futuro con occhio aperto alla speranza, senza esonerarci dalle nostre responsabilità. 

La Vergine Santissima, Madre di Gesù Cristo, principe della pace, ci aiuti e ci accompagni in questo processo di cambiamento culturale ed operativo.  

Sia lodato Gesù Cristo.